22 gennaio 2006

Message in a bottle...!

Il titolo di questo articolo sembra interessante, ha un non so che di fantastico…lascia pensare a lidi lontani, a isole, a storie di speranza…in realtà, la storia di speranza che si cela dietro al titolo non ha niente a che fare con film e storie d’amore, bensì con la sindrome da alcool fetale. Che non è una bazzecola (nonostante stia preparando l’esame di Ecologia, rinviato a martedì, per cui il mio obiettivo è la muta stagionale della lepre artica e la catena alimentare di uno stagno…la patologia è sempre il mio primo punto di interesse e curiosità).
Il consumo di alcool è in continuo aumento. Tra i giovani. Ma soprattutto tra le giovani. Ma quali sono le conseguenze di tutto ciò, oltre ai tipici danni da abuso di alcolici, come cirrosi epatica,problemi alla vista, incapacità di condurre il proprio veicolo….? Anche questa brutta malattia (o meglio, desease, che in inglese rende più l’idea) che causa deficienza mentale e anormalità fisiche nel feto è una delle patologie più diffuse tra le giovani (anzi, tra le giovani madri) ma meno conosciuta. Questo tipo di problema è stato evidenziato per la prima volta nel 18° secolo, periodo in cui nei paesi anglosassoni si faceva largo uso di gin, per cui l’epilessia e i problemi congeniti sviluppatisi da madri accanite consumatrici della bevanda hanno preso il nome di “gin epidemic”. Da qui sono nati i vari temini di “alcholic babies”, “martinis and motherhood” e le varie campagne di prevenzione e recupero volte non solo ad intervenire sulle madri in gravidanza, ma anche a prevenire e mettere un freno ai continui aborti clandestini in seguito alla diagnosi o alla scoperta della malattia.Per cui, care le mie fanciulle (e anche fanciulli…) meglio evitare di alzare troppo il gomito, ed evitare di farlo con troppa frequenza, giusto per evitare che i pargoli nascano già brilli!

2 commenti:

raraavis ha detto...

Ma quante ne sai?! Grazie mille, sei sempre una fonte preziosa... Putroppo è che questi aspetti importanti di "vizi comuni" sembrano sempre per addetti ai lavori... E poi, in fondo, vale sempre la speranza "Perchè dovrebbe capitare proprio a me?". "E perchè no?" risponderei...

Martella 2000 ha detto...

Grazie Cri, era un articolo pubblicato sul Journal of Clinical Investigation.