Dopo le zecche, mosche e riso...
Ricordo con piacere la prima lezione di fisiologia generale e animale, in cui il nostro professore ci ha detto che essere biologi è un valore aggiunto, riportando la scoperta dell’Altzheimer nelle comuni mosche, ad opera di un’equipe di biologi – ricercatori. Come ha fatto il biologo a scoprire la patologia che affigge la mosca? Conoscendo la malattia e l’animale interessato. Certo, essere biologi è un valore aggiunto perché oltre al campo umano si indaga anche in quello vegetale ed animale, si ha una maggiore prospettiva di quella che è la vita, si riescono a intessere rapporti genetico – evolutivi…; ed è vero, molto spesso le più famose e importanti scoperte non sono attribuibili a medici, ma a biologi. Questo non vuol dire che le due categorie siano in antagonismo, anzi, c’è una forte cooperazione: il biologo ricerca, studia, indaga sulle cause, il medico cura, affronta le conseguenze. E’ un lavoro intrecciato. Sono due figure professionali indivisibili. La ricerca di determinati farmaci sta al biologo, la cura della malattia sta al medico (non voglio essere così categorica, è per semplificare un campo di studio interconnesso e molto fitto).
Ma torniamo all’idea principale. Il biologo come ricercatore. Leggendo su un recente Tutto Scienze e Tecnologie, ho appreso che è stata conclusa la mappa del genoma del riso, ad opera di un gruppo di scienziati di vari paesi. L’Oryza sativa è la qualità di riso più diffusa al mondo, quella che sfama la popolazione ricca e quella meno ricca, per cui la conoscenza del suo genoma permette di localizzare e studiare le malattie che la afliggono, le avversità climatiche, i parassiti che di essa si nutrono…
Pare che la richiesta di riso tenda ad aumentare nel tempo con l’incremento della popolazione, per cui cercare di incentivare la produzione è un investimento nel futuro particolarmente importante, e la scoperta di tale genoma ne permette la sua manipolazione ai fini di una migliore qualità e produzione soddisfacente in numero.
Quando ho letto i componenti del gruppo di ricerca, mi sono subito accorta che l’Italia non ha né finanziato né partecipato con “prestito di cervelli” a questo tipo di lavoro, nonostante sia il paese leader in Europa nella produzione e coltivazione di riso. Il mio professore di botanica e biotecnologie, prof. F. Sala, alle cui lezioni ho avuto il piacere di assistere, è stato contattato dal Giappone per una proposta di collaborazione al progetto. Sia l’Università di Milano, sia il MIUR, sia gli enti preposti al finanziamento e allo stanziamento di fondi per la ricerca, si sono fatti negare, lasciando cadere nel vuoto l’invito. Ora mi chiedo, a questo punto, dov’è il valore aggiunto di essere biologo? Dov’è il vantaggio di saper interagire tra discipline diverse? Qual è lo scopo di tante ore di studio e passione? Perché sminuire in questo modo la ricerca e l’operato di un così buon docente e ricercatore davanti agli occhi della nazione e dei suoi studenti che a lui si ispirano?
Ma torniamo all’idea principale. Il biologo come ricercatore. Leggendo su un recente Tutto Scienze e Tecnologie, ho appreso che è stata conclusa la mappa del genoma del riso, ad opera di un gruppo di scienziati di vari paesi. L’Oryza sativa è la qualità di riso più diffusa al mondo, quella che sfama la popolazione ricca e quella meno ricca, per cui la conoscenza del suo genoma permette di localizzare e studiare le malattie che la afliggono, le avversità climatiche, i parassiti che di essa si nutrono…
Pare che la richiesta di riso tenda ad aumentare nel tempo con l’incremento della popolazione, per cui cercare di incentivare la produzione è un investimento nel futuro particolarmente importante, e la scoperta di tale genoma ne permette la sua manipolazione ai fini di una migliore qualità e produzione soddisfacente in numero.
Quando ho letto i componenti del gruppo di ricerca, mi sono subito accorta che l’Italia non ha né finanziato né partecipato con “prestito di cervelli” a questo tipo di lavoro, nonostante sia il paese leader in Europa nella produzione e coltivazione di riso. Il mio professore di botanica e biotecnologie, prof. F. Sala, alle cui lezioni ho avuto il piacere di assistere, è stato contattato dal Giappone per una proposta di collaborazione al progetto. Sia l’Università di Milano, sia il MIUR, sia gli enti preposti al finanziamento e allo stanziamento di fondi per la ricerca, si sono fatti negare, lasciando cadere nel vuoto l’invito. Ora mi chiedo, a questo punto, dov’è il valore aggiunto di essere biologo? Dov’è il vantaggio di saper interagire tra discipline diverse? Qual è lo scopo di tante ore di studio e passione? Perché sminuire in questo modo la ricerca e l’operato di un così buon docente e ricercatore davanti agli occhi della nazione e dei suoi studenti che a lui si ispirano?
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